domenica 27 agosto 2017

CARDANDAN

CARDANDAN
https://www.google.com/maps?ll=25.182548,101.86285&z=5&t=m&hl=it-IT&gl=IT&mapclient=embed&q=Yunnan+Cina
R II 41 0; R II 41 1; R II 43 1.
Çardandan F; Çardandan L; Ardandam P; Chardadan V; Ardanda, Ardandan VA; Ardidan VB; Çardandan Z.
BIBLIOGRAFIA – (a) Cardona 1975, pp. 544-545; Pelliot 1959-1973, pp. 603-606 n. 197. – (b) Burton, Whiting 1961; Cohen 1951, p. 123; Dawson 1929; Eliade 1989, pp. 57-89; Ericksen Paige, Paige 1981, pp. 188-199; Gros 1994; Munroe, Munroe, Whiting 1973; Munroe, Munroe 1975.
(a)
Il pers. Zar-dandān “denti d’oro”, base del lemma poliano (nella grafia di F: la ‹c-› in Ramusio è una trivializzazione facilmente spiegabile), traduce alla lettera il cin. Jinchi. L’origine etnica di questa popolazione, che abitava nello Yunnan, tra Mekong e Birmania (Myanmar), è rimasta ignota. Pure le fonti cinesi (che ne parlano dall’VIII sec.) registrano l’uso (comune a uomini e donne, diversamente da quanto indica Polo) di coprire i denti con una foglia d’oro (e autentiche sono da tutti giudicate le informazioni sui tatuaggi attestate da R).
La regione rappresenta il punto estremo, a S, degli spostamenti di Polo nel territorio cinese: le informazioni sul Sud-Est asiatico contenute nel testo a partire da R II 43 (regno di Mien, Bangala, Cangigú etc.) sono di seconda mano.
[EB]
(b)
Subito dopo il parto, il marito prende il posto e il ruolo della moglie: si mette a letto col neonato e lo accudisce (men’s childbed), tenendolo presso di sé per un periodo di tempo durante il quale riceve frequenti visite di parenti ed amici. Questa pratica postnatale, descritta da Polo nella ricca “scheda” etnografica di R II 41 7 e sg., rappresenta la forma “classica” della couvade, usanza ben nota alla letteratura antropologica, riscontrata presso varie popolazioni (tra gli Ainu in Hokkaido e presso la tribù Lang-Tse dei Miao, in certe isole del Pacifico e specialmente in America meridionale) e segnalata anche nell’antichità (come notava anche Ramusio, in una nota a margine del f. 36r: «Strabone [III IV 7] nel fine del terzo libro parlando de Spagnuoli dice il medemo usarsi fra loro come la donna ha partorito»; e si aggiungano Plutarco, Erodoto, Diodoro Siculo). (Resta insostituibile la monografia di Dawson 1929, da integrarsi con Gros 1994).
Sostituendosi alla puerpera l’uomo attua una forma di partecipazione simbolica alla gestazione e al processo della nascita. In tal modo, egli palesa e “socializza” il suo legame col bambino, facendosi riconoscere come padre dai congiunti e dall’intera comunità. Per Cohen (1951, p. 123) la couvade sarebbe riconducibile all’idea di una fusione primigenia di maschile e femminile: andrebbe perciò considerata quale «affirmation de l’unité fondamentale du principe bisexuel, régissant l’Univers humain dans une perpétuelle création, qui est avant tout une différenciation». In quasi tutte le tradizioni religiose, l’uomo primordiale è rappresentato come androgino, ossia come modello archetipico di uomo perfetto, totale, in cui i poli antitetici coincidono (vd. Eliade 1989, pp. 57-89). La compresenza dei princìpi sessuali opposti nello stesso individuo simbolizza la realtà assoluta, lo stato indifferenziato e pre-formale degli inizi, caratterizzato dalla coincidentia oppositorum. L’assunzione, da parte dell’uomo, di funzioni e tratti pertinenti alla sfera femminile parrebbe indicare la volontà di ristabilire l’androginia primeva, al fine di sospendere la condizione profana e restaurare la ricchezza non-duale dell’illud tempus. La couvade esprimerebbe dunque, secondo Cohen, una sorta di “nostalgia delle origini”, proiettata per il tramite di precisi atti rituali sugli esordi di una nuova vita. Attorno al nuovo nato si ricostituirebbe allora una condizione aurorale, una sorta d’infanzia del mondo.
I più recenti studi su questa usanza hanno cercato di individuarne cause e fattori in determinate strutture socio-culturali. Una spiegazione della couvade in termini di psicodinamica è stata avanzata da Munroe, Munroe, Whiting (1973) e Munroe, Munroe (1975), che hanno trovato i loro presupposti teorici nelle ricerche di psicologia dell’età evolutiva di Burton, Whiting (1961), basate sul concetto di cross-sex identity. Stando ai risultati di queste indagini, i comportamenti ritualizzati che si designano col nome di couvade si riscontrerebbero di preferenza nelle società matrilocali, cioè in quei tipi di ordinamento in cui i bambini vivono in un ambiente domestico dominato dalla componente femminile (matri-residence) e dividono il letto con la propria madre, mentre il padre dorme altrove. I soggetti cresciuti in questo genere di organizzazione sociale tendono a conferire maggiore importanza alla figura della donna che a quella dell’uomo, perché percepiscono la madre quale distributrice dei beni e principale mediatrice con il mondo adulto. Secondo il modello elaborato da Burton e Whiting, simili ambienti a debole rilevanza maschile (low male salience) inducono i giovani maschi a sviluppare una cross-sex identity che li predispone all’imitazione del ruolo femminile. La couvade sarebbe dunque un riflesso di tale disposizione psicologica inconscia.
Diversa e più vicina ai modelli d’interpretazione tradizionali è l’ipotesi avanzata da Ericksen Paige, Paige (1981, pp. 188-199), per i quali la couvade va analizzata come contrattazione rituale messa in atto dal marito per affermare le sue prerogative di padre all’interno di società in cui i gruppi d’interesse fraterno sono deboli o del tutto assenti (weak fraternal interest group societies). In ambienti di questo tipo l’uomo non può contare su una rete di solidarietà familiari per sostenere i suoi diritti sulla prole: si deve quindi impegnare in certe pratiche simboliche sostitutive della gravidanza perché la sua rivendicazione di paternità sia legittimata dal consenso collettivo. L’approvazione pubblica accordata al marito durante lo svolgimento della couvade (si ricordino gli omaggi e le visite di cortesia di parenti e amici di cui si fa menzione nel passo marcopoliano) esprime il riconoscimento del suo status di padre da parte del contesto sociale.
[AB]

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